I paesaggi letterari, sonori, visivi conservano le tracce delle storie individuali e della Storia ufficiale: da questo concetto nasce l’idea di una tavola di discussione che, partendo da un inquadramento storico della Sarda Rivoluzione di fine Settecento, ha l’obiettivo di rispondere all’interrogativo su cosa rimanga nel paesaggio contemporaneo sardo di quegli eventi e della Storia che essi avrebbero determinato successivamente, sino al nostro presente.
Introduzione storica
– Andrea Fois
Contestualizzazione storica del triennio rivoluzionario (1720-1793), gli stamenti e il primo tentativo di controrivoluzione (1793-1795), i moti antifeudali e la sconfitta di Angioy (1795-1796), la repressione, Angioy in Francia e il fallimento di Cilocco e Sanna Corda (1796-1802).
Contestualizzazione storica
La fine della Rivoluzione Sarda ha degli effetti che arrivano sino ai giorni nostri, un presente risultato anche di altri punti chiave. L’Ottocento vede realizzarsi l’Editto delle Chiudende, l’espansione dell’industria mineraria, il taglio dei boschi, i moti de Su Connottu, l’espansione della monocultura della pastorizia, la repressione militare del banditismo. Chi prima era visto come intrinsecamente bandito diventa però il soldato eroico per antonomasia nella Grande Guerra, in cui i sardi versano un pesante tributo di sangue e sperano però che questo sia seguito da un momento di riscatto per l’Isola. Non avverrà: solo negli anni ’60 si parlerà di Piano di Rinascita che farà da momento spartiacque per la Sardegna, con le grandi trasformazioni che ne seguiranno.
Dalla creazione narrativa dello spazio alla costruzione del territorio: costanti resistenziali nella letteratura sarda contemporanea
Il rapporto tra scrittura, memoria e identità appare particolarmente intricato nel caso dei paesaggi letterari sardi, e soprattutto in quelli del secondo Novecento. Scopo di questo intervento è mettere in luce queste interrelazioni, seguendo il filo e le tracce attraverso cui la memoria narrativa resiste nel territorio di oggi e rende possibili percorsi di conoscenza e costruzione di identità locali. Una particolare attenzione sarà accordata ai lavori di Giuseppe Dessi e Sergio Atzeni.
Decostruire la natura: la Sardegna come una grande drum machine
Quando si parla di paesaggi sonori – specie nell’ultimo ventennio – è impossibile non considerare il sincretismo natura-artificio. Ma dove arriva la linea di taglio tra queste due realtà? Esiste una linea? E in che modo gli artisti sardi utilizzano dagli anni Novanta a oggi i paesaggi sonori della Sardegna?
Partendo da una definizione di Raymond Murray Schafer, si delineano gli elementi compositivi di un paesaggio sonoro: le toniche – concetto diverso da quello classico presente in musica – indicano ciò che non viene udito coscientemente ma che evidenzia il carattere delle persone che vivono in un luogo; i segnali, suoni in primo piano uditi coscientemente; le impronte sonore, suoni caratteristici di un’area, che meriterebbero di essere protetti. Negli ultimi trent’anni questi suoni sono ampiamente usati – non a caso – nelle produzioni degli artisti musicali.
Nella produzione musicale sarda contemporanea ritroviamo i suoni delle onde del mare e dei gabbiani. E ancora: le pecore, il galoppare dei cavalli, i versi dei pastori e i canti folkloristici. Scelte specifiche, non banali, identitarie. La Sardegna è vista – e udita – come in continuo contrasto tra artificiale e naturale: tra miniere e fabbriche, tra montagne e mari, tra macchinari e uomini. Ciò si riversa nelle composizioni musicali sarde attuali con l’utilizzo di suoni industriali mischiati a suoni naturali, come se questi coesistessero nel paesaggio da un’eternità. Con tutta probabilità – considerato che la nuova avanguardia musicale è nata attorno agli anni Settanta, con una Sardegna già pienamente industrializzata – la causa è da ricercarsi in un fattore di adattamento e anagrafico.
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